A primavera debutta “Sciailoc”, un nuovo lavoro.
Intervista a Nicola Fanucchi, attore e regista
C’è un’energia vivace nelle parole che Nicola Fanucchi usa per raccontare la sua storia d’amore con il teatro. Ne parla con l’umiltà e l’entusiasmo di chi ha iniziato ieri e sa che il suo spettacolo più bello deve ancora venire. Invece Fanucchi, attore e regista, ha cominciato a recitare ad appena 13 anni con “Il quadro delle meraviglie” di Prévert e da allora non si è mai fermato. Nel suo percorso poliedrico ha collaborato con artisti del calibro di Mario Luzi, Maddalena Crippa, Eros Pagni, Mario Ancilotti e Alessandro Lanzoni. Insieme a Ugo Manzini e Anna Fanucchi è l’anima della compagnia Teatro Giovani di Lucca e attore storico della compagnia professionistica Peccioli Teatro diretta da Andrea Buscemi.
Ha calcato le scene dei più prestigiosi teatri italiani: La Fenice di Venezia, il San Babila di Milano, il Ghione di Roma, il Castel Sant’Elmo di Napoli e, certamente, il Giglio di Lucca. Si definisce “artigiano” del teatro, e preferisce la parola “amante” alla più usata “amatore”: perché chi ama, genera. In gestazione, da qualche mese, un nuovo lavoro che lo impegna come regista di dieci ragazzi, tutti sotto i 30 anni, intitolato “Sciailoc”, un libero adattamento de “Il mercante di Venezia” di Shakespeare. Lo abbiamo intervistato.
Chi sono gli attori scelti per “Sciailoc” e come si stanno approcciando a Shakespeare?
«Sono ragazzi in crescita e affiatati, che con rispettosa sfrontatezza hanno accettato di “giocare” con una pietra miliare della storia del teatro per raccontare la stupidità dell’intolleranza mettendone in luce l’aspetto comico e grottesco. Sono attori scelti dopo lunghi percorsi di formazione in prestigiose scuole teatrali. Hanno iniziato a lavorare al progetto questa estate, ritrovandosi sul Baluardo della Libertà delle nostre Mura per prendere confidenza con il testo e che da qualche mese dedicano intere domeniche alle prove. Sono loro il Teatro Giovani di oggi, loro che nel 1978, quando si è costituita la compagnia, non erano ancora nati. Questa esperienza, anzitutto di amicizia, mi ricorda “Rumori fuori scena” di Frayn, che ci vide impegnati con 31 repliche in tutta Italia dal 1997 al 2001: anche in quello spettacolo recitavano attori giovanissimi che oggi lavorano per trasmettere ad altri giovani la forza del teatro».
Cosa racconta “Sciailoc” e perché è stato scelto questo titolo?
«C’è dentro tutto, come in ogni classico: incomprensioni, amori, ribellioni, vendetta, orgoglio e coraggio. Ma soprattutto c’è l’assurdità dell’intolleranza, figlia di grettezza, ignoranza e paura. Il titolo della commedia è lo storpiamento del nome proprio di un personaggio, Shylock, l’ebreo, il diverso. Perché qual è la prima forma di umiliazione e discriminazione se non lo stravolgimento del nome che ci identifica? Il diverso di Shakespeare però, attenzione, non è il buono. Contro ogni stereotipo facile, Shylock non è il debole vittima di ingiustizia con il quale simpatizzare. È una persona che, come tutte, ha in sé il bene, il male e le gradazioni contenute da questa dualità ».
Come avete lavorato per realizzare questo adattamento?
«Siamo partiti dalla consapevolezza che per rendere davvero giustizia al testo di Shakespeare dovevamo “tradurlo” per il pubblico della contemporaneità. Un’operazione attenta ma al tempo stesso disinibita. Sono stati gli stessi ragazzi a cucirsi addosso il personaggio scelto, dandogli la loro voce, il loro linguaggio. E l’universalità de “Il mercante di Venezia” si è prestata a contaminazioni con altri testi, ricamati su questa trama affascinante: una poesia della Szymborska, una di Prévert, una canzone di Mannarino e una di Sinatra... con la naturalezza e la spontaneità degli incontri a cui ci apriamo da giovani. Talvolta una battuta che nell’originale era di un personaggio è divenuta la battuta di un altro e persino il finale ha subito delle modifiche. È uno spettacolo ancora aperto, in divenire: non voglio porre freno alla creatività di questi giovani attori, che da soli hanno ideato le scene e i costumi. Fanno le cose sul serio senza prendersi troppo sul serio, è questa la loro forza. Il debutto è previsto in primavera, al teatro Colombo di Valdottavo, che in questi mesi ha ospitato le lunghe full immersion domenicali della compagnia».
Cosa significa per Nicola Fanucchi il teatro?
«È il veicolo che meglio conosco e che ho scelto per contribuire a rendere migliore il tempo che mi è stato dato da condividere con gli altri. Una forma di dono per chi lascia la propria casa per venire a vedere uno spettacolo. Senza il pubblico e le vibrazioni che sa trasmettere non avrei più niente da raccontare. Il teatro è anche, infine, il luogo della verità: solo lì, infatti, le maschere sono evidenti, i ruoli definiti e la finzione dichiarata. Fuori dal teatro è tutto più ambiguo e, paradossalmente, meno vero. Ma ora basta con le definizioni perché il teatro, come l’amore, non si dichiara, si fa».
E.T.