IL NOSTRO "CARNOVALE"
  01 Febbraio 2016
Lucca
IL NOSTRO

Nel tempo, il Carnevale si è andato uniformando: si celebra da per tutto, quasi allo stesso modo, con sfilate di carri allegorici, coriandoli e le immancabili maschere.
Soltanto cento anni fa ogni paese, e possiamo forse dire, ogni frazione del nostro territorio aveva un modo tutto suo per riconoscerlo. Già allora usavano i carri. Si pensi che il Carnevale di Viareggio data dal 1873 e non è neanche il primo ad aver introdotto l'utilizzo dei carri. C'erano i tanto attesi balli, per l'ultima domenica di Carnevale, quasi sempre boicottati dai preti di campagna e di città, pentolacce, alberi della cuccagna, rappresentazioni teatrali, gare di ogni tipo e modi originali di interpretare questa festa. Insomma, ce n'era per tutti i gusti. Ad esempio, a Valdottavo si poteva assistere alla "corsa dei micci", montati a pelo, mentre a Partigliano si rappresentava il "bruscello", uno spettacolo simile a quello del Maggio. A Motrone, altra frazione del comune di Borgo a Mozzano, era severamente proibito lavorare nei giorni di Carnevale e chi osava farlo veniva "processato" sulla pubblica piazza e sistematicamente condannato a pagare vino per tutti. A Pieve Fosciana, ogni anno si rinnovava l'antica sfida fra le contrade.
A Lucca, c'era il vezzo di tirare le "beute" alle maschere. Le beute eran uova "bevute", il cui guscio veniva riempito con sostanze maleodoranti, ed usate come proiettili, che si sfacevano colpendo il bersaglio. Più che risate alle spalle dei malcapitati, provocavano risse collettive, quando non reazioni con conseguenze anche più gravi, come accadde il 15 febbraio del 1673. Un certo Michele Carrara, colpì per sbaglio Ottavio Lippi, non mascherato, che per reazione, l'uccise poco dopo "con un colpo al cuore".
Le maschere servivano a vivere un giorno da leoni, per provare ad essere quello che non si era e si sognava di essere: il contadino si travestiva da notaio, il bracciante da re, la massaia da principessa. Presso a poco come si usava nell'antica Roma con i Saturnalia che si celebravano dal 17 al 23 dicembre e durante i quali veniva sovvertito ogni ordine sociale: gli schiavi venivano serviti a tavola dai padroni, potevano ubriacarsi e compiere tutti quegli atti che, in qualsiasi altro periodo dell'anno, comportavano solitamente la condanna a morte. Altro simbolo carnevalesco è il coriandolo.
I coriandoli, come li conosciamo oggi e cioè quei minuti dischetti di carta, lanciati in aria per festeggiare il carnevale sarebbero stati utilizzati per la prima volta nel 1876 dal suo inventore: un ragazzino triestino quattordicenne di nome Ettore Fenderl che poi diventerà un famoso scienziato. È stato lui stesso, a testimoniarlo, in una intervista rilasciata alla Rai nel 1957. I coriandoli venivano utilizzati già nel Medioevo, ma allora erano commestibili, perché si trattava di semi di coriandolo ricoperti di zucchero: una sorta di confetti, tanto è vero che francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, olandesi e svedesi, anche oggi, chiamano confetti i coriandoli di carnevale. Siccome erano assai costosi, si pensò di sostituirli con palline leggerissime di gesso colorato, ma non si è più cambiato da quando i coriandoli sono stati conosciuti nella versione "carta".
Ma non è possibile chiudere l'argomento carnevale senza ricordare la pratica del Giovedì grasso, tutta lucchese, del "ciccia e ossi".
Come la descrive Idelfonso Nieri, "persone molte povere... travestiti in maniere strane...vanno per le vie della città e del sobborgo, e si fermano a uscio a uscio, specialmente alle botteghe di roba da mangiare. Non pronunziano verbo, ma s'intende che chiedono, e così prendono di tutto... tozzi di pane, avanzi di cucina, per passare un po' meno peggio gli ultimi giorni del Carnevale". Ancora oggi si usa l'espressione "fare ciccia e ossi" nel significato di non disdegnare alcunché e se si vuol dare a qualcuno del "poveraccio o miserabile" gli si dice: "ma va a fare ciccia e ossi!".
Tale questua a Tereglio era conosciuta come quella del "pan unto".
Perché c'era chi, potendo, approfittava di quel periodo per far baldoria in tutti i sensi e specialmente a tavola. Era infatti consuetudine "insaccare" il maiale per Carnevale e fare una scorpacciata di carne, di grassi, di "tordelli" lucchesi (quelli tagliati con il bicchiere), di "cenci" di "frati", di "frittelle", prima della interminabile e penosa Quaresima, che proibiva assolutamente l'uso della carne.
Pare infatti che "carnevale" derivi proprio da "carnem levare", intesa come periodo di privazione della carne. Come tutte le cose belle, anche il Carnevale giungeva a termine e lo si salutava con il fuoco. In molte parti della lucchesia, si usa ancora "bruciarlo", quasi fosse una esperienza pagana da dimenticare.

...E poi la Quaresima e i riti pasquali
Il "contrasto" fra Carnevale e Quaresima (col mercoledì delle Ceneri che ricorre 46 giorni prima della Pasqua) e poi, a seguire, i riti e le rappresentazioni della Settimana Santa.
Ne ricordiamo una per tutti: la Processione de' Crocioni, tradizione ancora viva a Castiglione Garfagnana. Come ha testimoniato il professor Gastone Venturelli, il giovedì Santo i fedeli escono di chiesa e seguono processionalmente un uomo vestito da Cristo, con grosse catene ai piedi e carico di una pesante croce di legno. Nessuno, tranne il Priore della Confraternita locale, conosce il penitente e per far sì che possa mantenere l'anonimato, viene rinchiuso in precedenza in un grande armadio della sacrestia. Uscirà appunto per la processione e, dopo aver percorso le vie del paese spesso con i piedi sanguinanti, sarà poi rinchiuso di nuovo nell'armadio mentre due membri della confraternita, vestiti da soldati romani, fanno la guardia affinché nessuno lo disturbi. A notte inoltrata il penitente potrà finalmente uscire e nessuno saprà mai la sua vera identità.
A Camaiore il prossimo venerdì Santo le celebrazioni triennali del Gesù Morto, con spettacolare luminara e processione.

Giampiero Della Nina