Storie d'archivio
Nicolo di Chiaro Del Bene e le sue attività (sec. XIV)
  dal 01 al 30 Aprile 2021
Storie d'archivio<br>Nicolo di Chiaro Del Bene e le sue attività (sec. XIV)

All’ora terza (le 9) del 4 settembre 1379, Nicolo “sano per grazia di nostro Signore Gesù Cristo di mente e sensi, parlando rettamente ma giacente a letto perché infermo nel corpo, presentendo la propria morte e non volendo morire "intestato” convoca l’amico notaio Ser Lorenzo da Barga. Questa volta non per elargire un prestito, né per compravendite o affari vari, ma per dettare le sue ultime volontà, quel testamento che è stato il filo conduttore che ha permesso di ricostruire la sua vita.
Il timore espresso da Nicolo di morire senza aver compiuto quest’atto era diffuso in tutta la società medievale. Morire intestato significava morte improvvisa, temuta dall’uomo medievale che aveva il culto della “preparazione” ad una “bella morte”. Il testamento, con i suoi lasciti pii, le sue elemosine, i ceri lasciati in dono alle chiese, rappresentava per l’uomo del XIV secolo una sorta di lasciapassare per l’eternità.
Grazie a questo documento sappiamo che Linora, la moglie è in attesa di un figlio; che il piccolo Giuliano ha due anni; che Bartolomea, la figlia di primo letto, è già sposata con un mercante di Diecimo; che la madre di Nicolo , Data, vive con la famiglia e forse aiuta Linora, stanca per la gravidanza, nel nutrire, governare, castigare e insegnare bontà al piccolo e alle tre ragazzine Margherita, Francesca e Caterina, definite “infanti” ma già promesse in matrimonio, come si usava a quel tempo. Se dovessimo assegnare un punteggio al valore imprenditoriale di Nicolo del Chiaro, potremmo dire che il suo capolavoro assoluto è proprio la stipula dei contratti matrimoniali per le tre figlie. In un periodo in cui molti bambini morivano entro i primi due anni di vita, Nicolo, pur nominando suo erede universale Giuliano (unitamente al nascituro se sarà maschio) pare essersi preoccupato comunque di assicurare continuità ai suoi affari tramite i matrimoni delle figlie. Margherita e Francesca sono infatti rispettivamente promesse una ad uno speziale di Camaiore, l’altra al notaio Ser Boemmo Puccini da Lizzano, cancelliere del vicario, dal quale Nicolo si serviva spesso per i propri atti. Caterina invece è promessa a Gabriello di Coluccino Gonnella degli Antelminelli, proprietario di ferriere a Corsagna.

Gran parte del testamento di Nicolo è occupato dalle disposizioni per la salvezza della propria anima: Lascia una somma destinata “ad maritando miserabilis puellas”, lui che con 4 figlie che avevano ricevuto ciascuna 150 fiorini di dote era ben cosciente di quanto fosse oneroso avere figlie femmine! Rimette inoltre i debiti ad alcuni debitori.
Lascia inoltre per la salvezza della sua anima e per “certi illeciti che potrebbe aver commesso senza averne coscienza” (sic) vari ceri da accendere durante l’Elevazione a tutte le chiese della Vicaria, elencate minuziosamente una per una.
Questi elenchi non possono non richiamare alla nostra mente (e, chissà, forse anche a quella di Nicolo stesso) altri elenchi, quelli in cui il messo del vicario scriveva minuziosamente i beni sequestrati ai debitori insolventi…
Un asino dal pelo grigio…Un capparone albagio…Dodici salme di legna ad comburrendo…
D’altronde le candele erano il lascito per eccellenza in tutti i testamenti del periodo, soprattutto quelle destinate a rappresentare le comunità durante la luminaria di Santa Croce.
Preziose, di cera d’api, o scadenti, di sego, queste candele paiono destinate ad illuminare il buio dell’eternità.
Qui si interrompe la trama, ricostruita con frammenti di fili di diversi materiali, della vita terrena del mercante di Borgo a Mozzano. Quello che la recise dall’ordito nel lontano 1379, ferma anche le nostre possibilità. Oltre, non si può andare.
Helga Battaglini