Ricordo della nave “Arandora Star” - affondata il 2 luglio di 80 anni fa
  dal 01 al 31 Luglio 2020
LUCCA
Ricordo della nave “Arandora Star” - affondata il 2 luglio di 80 anni fa

Fu silurata da un sommergibile tedesco. Le vittime furono oltre 800, di queste 446 erano
italiani, di cui 23 originari della provincia di Lucca. Riportiamo i loro nomi dopo l’articolo


Il fatto, che comportò la morte di 446 italiani residenti in Gran Bretagna, si è svolto in acque inglesi il 2 luglio del ’40, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia a Francia e Inghilterra. Fu il precedente di un similare episodio riferito a residenti negli Stati Uniti di origine giapponese che subirono terribili conseguenze imposte dalle autorità americane, subito dopo l’attacco del Giappone agli USA, effettuato il 7 dicembre del ‘41 su Pearl Harbor. Le conseguenze della dichiarazione di guerra della nazione di origine, determinarono per i cittadini di questa nazione, residenti nei paesi ai quali era stata dichiarata guerra, ogni sorta di sopruso e di violenza, con deportazioni, linciaggi, arresti e segregazioni.
Così accadde per tanti cittadini di origine italiana i quali, residenti da anni in Gran Bretagna, subirono una terribile sorte di violenze e di morte, quando l’Italia il 10 giugno del ’40 dichiarò guerra all’Inghilterra.
L’emigrazione italiana in Gran Bretagna ebbe sempre due connotazioni ben distinte: una legata al lavoro, l’altra alla politica. Nel periodo risorgimentale, per la precisione nel 1840-’50, circa cinquecento italiani vivevano a Londra nel quartiere di Clerkenwell e si guadagnavano da vivere facendo i camerieri, suonando gli organetti, vendendo gelati, costruendo mosaici, barometri e strumenti di precisione. Ma non mancavano i rifugiati politici, basti fra tutti ricordare un nome: Giuseppe Mazzini.
Anche nel periodo che seguì l’unificazione dello Stato italiano continuò l’emigrazione italiana verso Inghilterra, Galles e Scozia per cercare lavoro, ed anche in questo periodo non mancarono i rifugiati politici di stampo anarco-socialista. Subito dopo la prima guerra mondiale, nel 1920, nacque proprio a Londra il primo Fascio italiano all’estero, fondato da intellettuali, insegnanti, industriali, commercianti, reduci. Dopo il 1922-’23, poi, con l’avvento in Italia del fascismo diminuì l’esigenza di emigrare per cercare lavoro all’estero, ma rimase pressoché costante il fuoruscitismo di carattere politico: erano ora gli antifascisti a dirigersi verso i lidi britannici.
All’inizio della seconda guerra mondiale erano circa 20.000 gli italiani residenti in Gran Bretagna: 12.000 uomini e 8.000 donne. La maggior parte di loro, pur essendo di origine italiana, non parlava una parola della nostra lingua e si era perfettamente integrata da generazioni. Nel 1939, con lo scoppio della guerra tra Gran Bretagna e Germania, fu la popolazione di origine tedesca e austriaca ad essere schedata, controllata e arrestata. E quando il 10 giugno del 1940 l’Italia dichiarò guerra alla Gran Bretagna (“la perfida Albione”!), nel giro di pochi giorni 4.500 persone furono arrestate e imprigionate per il semplice fatto di portare un nome italiano. Le violenze ai danni degli italiani divamparono in tutta l’Inghilterra: a Londra, Liverpool, Glasgow, Edimburgo, ci fu la caccia agli italiani, definita dal Times “un’orgia di disordini”, con vetrine di negozi infrante e devastate, abitazioni distrutte, pestaggi e violenze inaudite. Nella notte fra il 10 e l’11 giugno le famiglie con nome italiano sentirono bussare alla porta e da quel momento scattò l’arresto per tutti con l’internamento nei posti più disparati: non solo nelle galere ma anche nei campi sportivi, negli ippodromi come a Lingfield, dove gli italiani furono rinchiusi nei box dei cavalli. Si verificarono le situazioni più grottesche, come a Bury, nel Lancashire, dove furono rinchiusi nel campo di concentramento anche i Servini e i Vince, solo perché portavano cognomi italiani, anche se avevano onorevolmente combattuto per gli inglesi nella prima guerra mondiale nel reggimento di Gloucester. E c’era anche un prigioniero, che aveva i figli all’esterno del campo di concentramento, in uniforme inglese che montavano la guardia e che avrebbero dovuto sparargli se avesse tentato di fuggire.
Riempite le galere e i campi sportivi, il Governo inglese cominciò a pianificare il trasferimento degli internati all’estero. Siccome il Canada si dichiarò pronto a ricevere subito 1.500 prigionieri, vennero preparate alcune navi da stivare con questi ultimi, secondo un’età tra i 18 e i 60 anni, ma si ha notizia anche di ragazzi di 15 anni e anziani di 73. Dopo tre settimane di prigionia, furono scelti 734 italiani da imbarcare sulla nave Arandora Star, unità fino ad allora adibita a crociere e quindi requisita dalle autorità militari inglesi per deportare i prigionieri italiani in Canada. Più che una nave era divenuta un floating concentration camp, un campo di concentramento navigante, con tanto di filo spinato sui ponti. Non c’erano scialuppe di salvataggio per tutti; quando effettuava le crociere, la nave portava 500 passeggeri, ora ne aveva imbarcati 1.500. La metà erano italiani, ma c’erano anche austriaci, tedeschi, soldati della Wehrmacht prigionieri ed anche ebrei in fuga dalle persecuzioni in Germania.
Fu il comandante tedesco Guenther Prien, che da bordo del suo sommergibile inquadrò la nave nel periscopio, non avendo alcun scrupolo nè dubbio sul fatto che fosse un bersaglio militare: la nave, pure denunciando la sua origine commerciale, era armata con cannoni, non portava il simbolo della Croce Rossa, era priva di convoglio di scorta che poteva connotarla come nave con civili a bordo e, infine, navigava con una manovra a zig zag, tipica di una nave da guerra.
Non si sa se in quel momento al comandante Prien venne in mente Walther Schwieger, l’affondatore del Lusitania, ma le analogie con quell’episodio di 25 anni prima erano impressionanti. Il siluro partì silenzioso e letale. Colpì la nave con rapidità e precisione: 446 italiani morirono. Il giorno dopo, la radio inglese disse sbrigativamente che “una nave di nome Arandora Star , con fascisti e nazisti a bordo, era stata silurata in Oceano Atlantico.” Non disse che il siluro era partito da un sommergibile tedesco, perché sarebbe stato difficile spiegare come mai i tedeschi siluravano proprio i fascisti e i nazisti. Ma soprattutto non disse che fra quei “fascisti e nazisti” c’erano centinaia di ebrei tedeschi che fuggivano dalle persecuzioni; c’era un certo Uberto Limentani, anch’egli ebreo, che era fuggito dall’Italia a causa delle leggi razziali del 1938; c’erano cittadini inglesi deportati perché avevano un nome italiano, c’erano tanti antifascisti e c’era anche un certo Decio Anzani, forlivese, l’antifascista più noto del Regno Unito. Purtroppo per lui e per tutti gli altri, aveva però un cognome italiano. Per un’amara ironia, poi, in Italia il Corriere della Sera di qualche giorno dopo il fatto, scrisse: “L’Asse colpisce e affonda una nave inglese in Atlantico, poco dopo che questa era salpata da un porto dell’Inghilterra, nessun superstite!”

Gianni Giampaoli


Fra le vittime vi furono anche lucchesi provenienti dalla Versilia, dalla Val di Serchio e dalla Garfagnana. Ecco i loro nomi:
Agostini Oliviero di Barga, Humbert Albertid i Barga, Bertoncini Pietro di Camporgiano, Battistini Umberto di Stazzema, Biagi Luigi di Gallicano, Biagioni Ferdinando di Barga, Biagioni Umberto di Castelnuovo G., Biagioni Fancesco di Castelnuovo G., Bertolini Vincenzo Silvio di Barga, Bertoncini Pietro di Camporgiano, Da Prato Silvio di Barga, Farnocchia Francesco di Stazzema, Filippi Simone di Pieve, Filippi Mario di Castelnuovo G., Giannotti Alfredo di Camporgiano, Ghiloni Niclo di Barga, Meschi Oscar di Fornoli, Moscardini Santino di Barga, Ottolini Giovanni di Lucca, Pardini Agostino di Capezzano, Pieri Alfredo di Lucca, Razzuoli Enrico di Stazzema, Rocchiccioli Caesar di Barga.