L’archeologa Irene Morfini
  01 Dicembre 2015
Leida
L’archeologa Irene Morfini

Eccellenze lucchesi nel mondo - Nostro servizio speciale

Vive in Olanda. Di recente ha rinvenuto la tomba di Osiride

Leida (Olanda). Non diversamente dal resto dei Paesi Bassi, Leida è attraversata da un reticolo di canali figli del delta del Reno, che solcano la pacifica cittadina come vene ai polsi. Il mulino, uno degli ultimi due ancora funzionanti, svetta in lontananza con le sue pale che ormai macinano solo biglietti di ingresso per i turisti. Nel XVIII° secolo, i mulini a vento punteggiavano tutto il profilo del canale centrale, che si snoda ad anello seguendo una silhouette che vista dall’alto assomiglia in modo sorprendente alla linea delle mura di Lucca; nemmeno una generazione dopo, il loro numero era crollato a meno della metà. L’introduzione del vapore stava per spazzare via gli ultimi rimasugli ancora in vita del Medioevo e spalancare le porte alla rivoluzione industriale.
Una rivoluzione che, almeno per quanto riguarda il grosso del lavoro manuale, in archeologia non ha ancora fatto il suo ingresso. Gli operai chini a sgobbare sotto il sole egiziano nella saga che ha illuso generazioni di giovani sul mestiere di archeologo, quella di Indiana Jones, sudano oggi come sudavano cento o duecento anni fa. In compenso, un cambiamento piuttosto rilevante intervenuto in questa come in altre discipline è l’avvento delle professionalità femminili; un tempo escluse o quasi da un settore ritenuto prerogativa unicamente maschile, oggi le donne hanno cominciato a farsi strada anche nell’ambito degli scavi storico archeologici.

Irene Morfini è una giovane lucchese sulla trentina, che lavora qui; la sua passione per l’Egitto risale alla più tenera infanzia e ad un viaggio, mancato, nella terra del Nilo, da cui i genitori le riportarono in dono l’effige di un cammello. Un destino, il suo, segnato sin da bambina; né del resto le fanno difetto tratti vagamente mediorientali, che spiccano piacevolmente in mezzo a una popolazione piuttosto uniforme in termini di carnagione. La dottoressa Morfini ha lasciato Lucca per Leida dopo la laurea in Egittologia conseguita a Pisa nel 2005, e non intende, per il momento, fare ritorno.
“In fondo a me non interessa molto dove lavoro – dice, smentendo in parte i luoghi comuni sui cervelli in fuga – qualunque sia il posto, io ho bisogno di viaggiare, di muovermi; avere la possibilità di fare quel che mi piace è fondamentale, il luogo è secondario”. E l’Università di Leida le ha offerto questa possibilità: dopo un periodo passato a conseguire una seconda laurea, indispensabile per ottenere il riconoscimento del titolo di studio in Olanda, l’accademia le ha dato l’opportunità di proseguire la sua carriera con un dottorato. “Senza borsa di studio – precisa la dott.ssa Morfini, che su questo come su altri punti sembra avere le idee piuttosto chiare – la qual cosa costituisce per me un notevole vantaggio: qui i borsisti sono trattati come impiegati della conoscenza, salariati che alle 17 timbrano il cartellino e se ne vanno a casa. Io invece ricevo dall’università soltanto il supporto amministrativo e istituzionale, quindi per il resto i quattrini devo trovarmeli da sola. E mi va bene così, in questo modo ho mano libera per organizzare i miei progetti e portare avanti il mio lavoro nei tempi e nei modi che ritengo opportuni”.
A questo scopo, quella che con enorme dispendio di fantasia i giornali hanno definito la Lara Croft lucchese, ha aperto un’associazione a Monte San Quirico. “Preserving Heritage for Development, questo il nome della nostra onlus, serve da struttura legale per il finanziamento e la gestione dei nostri progetti. Lavoro assieme a una collega spagnola, Milagros Alvarez Sosa, con cui ho pure aperto la nostra casa editrice, Ediciones ad Aegyptum, alle Canarie.

Le sue pubblicazioni sull’egittologia
Pubblichiamo volumi scientifici e materiale divulgativo sull’egittologia, che ci servono come fonte collaterale di finanziamento. È uscito persino un fumetto, un racconto dove abbiamo provato a mescolare le nostre esperienze di archeologhe contemporanee con la storia dell’antico Egitto, in una prospettiva diacronica. Naturalmente è passato anche dal Lucca Comics!”.
E di scoperte, nel carnet della studiosa lucchese, non ne mancano, a cominciare da quelle effettuate nel corso della Missione Archeologica CanarioToscana in cooperazione con il Ministero di Stato delle Antichità egiziano. Con la collega spagnola ha portato alla luce, nell’area di Luxor che il governo egiziano ha dato in concessione alla missione per l’esplorazione del sepolcro di Min, la tomba di un funzionario della XVIIIa dinastia, la cosiddetta Tomba di May e Neferet; e all’inizio di quest’anno ha replicato con il rinvenimento della tomba detta di Osiride, una copia esatta di quella descritta nella mitologia egizia. Un bell’unodue di successi, pubblicato tra l’altro sul National Geographic, che le ha guadagnato qualche invidia da parte dei colleghi, ma anche l’attenzione necessaria a presentarsi di fronte a sponsor e mecenati.
“Per noi è vitale il reperimento di risorse. Faccio l’esempio della campagna di Min: la Fiat stava riaprendo la sua filiale egiziana nel periodo in cui noi cercavamo fondi – racconta l’archeologa –; quando abbiamo presentato a Il Cairo il progetto per i lavori a Luxor, abbiamo conosciuto i responsabili. Alla Fiat è piaciuta l’idea di presentarsi sul mercato locale con un’immagine legata alla tradizione e alla cultura egiziana, così ci hanno finanziato e dato in concessione gli automezzi per la spedizione”. Il resto lo hanno versato il governo delle Canarie e la AlexBank, il più grosso istituto finanziario locale posseduto in maggioranza da Intesa Sanpaolo. “C’è una mentalità piuttosto diffusa, devo dire con dispiacere soprattutto in Italia, in base alla quale molto del lavoro legato alla cultura può non venire retribuito. Ma io mi vedo come un medico, o un banchiere: le ore che dedico ad una attività devono essermi retribuite”.

In vista ha tanti progetti
E come è ancora il caso nelle altre professioni, anche per un archeologo donna farsi strada nel mondo del lavoro è un percorso piuttosto accidentato. “Resta un dato di fatto che la stessa carriera per una donna è più dura, ti viene sempre chiesto di dimostrare qualcosa di più. I direttori di missione sono per la maggior parte uomini. Io poi ho a che fare anche con la mentalità di paesi in cui l’idea di una donna con autorità sugli uomini è lungi dall’essere accettata. All’inizio della missione in Egitto, quando hanno capito che avrebbero dovuto prendere ordini da una donna gli operai hanno manifestato più di una perplessità. Ho dovuto persino farmi insegnare qualche frase di incoraggiamento in arabo dal capo operaio per renderli più malleabili. Col tempo e l’abitudine, poi, si è instaurato un rapporto di stima”.
Ora la dottoressa Morfini è impegnata in prevalenza con un team di studiosi composto quasi esclusivamente da donne, e pensa già ai prossimi progetti da realizzare con la sua associazione: la partecipazione alla realizzazione di un catalogo in lingua inglese e spagnola della collezione egizia conservata nel museo delle belle arti de L’Avana (Cuba); la nuova campagna a Luxor; lo studio e la pubblicazione di materiale egizio rinvenuto nel museo Nazionale di Accra (Ghana); la collaborazione alla realizzazione della mostra “La tecnica della Mummificazione in Egitto e nelle Isole Canarie”, una mostra didattica per le scuole che partirà dalle Isole Canarie e approderà in seguito in Italia.
E Lucca?
“Resto molto legata alla mia città di origine. Lì ho ancora la mia famiglia e i miei amici. Quando ero in Italia, mi piaceva suonare la chitarra con il mio gruppo (frequentavo la Jam Academy e lì ho ancora qualche contatto) e trascorrere le serate assieme al mio giro di conoscenze. Quello è lo stile di vita a cui continuo a sentirmi vicina. Leida è una città molto bella, ma la gente ha un carattere un po’ chiuso e una concezione del divertimento piuttosto differente dalla nostra. Anche per questo, detto in tutta sincerità, cerco di stare fuori per lavoro buona parte dell’anno. Ma a Lucca, ora come ora, non rientrerò. C’è tutto un mondo fuori che ha molto da offrire”. In università, magari, per proseguire la carriera accademica? “Non mi ci vedo proprio seduta dietro una scrivania – dice ‘Irene Jones’, sfoderando un sorriso pieno di fiducia nel futuro –, continuerò a fare quello che sto facendo, se il destino vorrà. Ma io in fondo ci credo. Dopo tutto, anche la vita che sto vivendo adesso fino a pochi anni fa sembrava soltanto una scommessa azzardata. Che per il momento ho vinto io”.
Lontano, le pale del penultimo mulino a vento di Leida fendono l’aria in silenzio. Da queste parti gli italiani sono sempre stati di casa. A pochi km da qui c’è un sobborgo chiamato Lombardijen; l’origine del toponimo non è certa, ma Lombardi è il nome con cui l’Europa ha a lungo indicato gli italiani tutti nel medioevo. I Paesi Bassi hanno appreso fin troppo bene la lezione dei nostri connazionali, quando la supremazia commerciale e finanziaria del Belpaese si è spostata dal Mediterraneo al Mare del Nord lentamente nel corso del XVI° e XVII° secolo. Secoli dopo Leida continua ad attrarre intelligenze, per farne impiegati della conoscenza. Qualcuno non si lascia convincere.

Michele Barghini